Il materiale che trovate sotto, a cura del Lab. di Urbanistica – XM24, è tratto dalla giornata del 5 aprile 2019 dedicata a co-housing ed emergenza abitativa.

“[In letteratura] è ben noto che i progetti di rivitalizzazione urbana in tutto il mondo, dalla gentrificazione dei quartieri ai progetti di sviluppo delle aree portuali, erodono apertamente le reti e gli spazi comunitari. Questa erosione opera insieme e nonostante gli sforzi discorsivi delle autorità cittadine per fornire un’arena politica di inclusione e di empowerment della comunità, ad esempio attraverso una governance collaborativa e una pianificazione basata sulla comunità. Tuttavia, la nozione di comunità utilizzata spesso in questi sforzi è problematica, in quanto definisce la comunità come circoscritta nello spazio o sulla base dell’identità come categoria omogenea di individui. L’enfasi di tale definizione è sullo spazio come luogo, ignora i legami e le connessioni che attraversano lo spazio e il contesto”.

(Crossa, V. 2012. Disruption yet community reconstitution: subverting the privatization of Latin American Plazas. GeoJournal 77 (2):167-183).

Il cohousing è una forma di co-residenza abitativa, è definito come “una particolare forma di vicinato, in cui alloggi privati e servizi in comune vengono combinati in modo da salvaguardare la privacy di ognuno e, allo stesso tempo, il bisogno di socialità, offrendo una risposta efficiente ad alcune questioni pratiche del vivere in città” (Lietaert 2007). Nonostante le origine culturali dei primi co-housing siano vicine al pensiero libertario nordeuropeo degli anni ‘70 e alle teorie della convivialità di Ivan Illich, oggi una sua applicazione sconsiderata e messianica – e in molti casi imposta dall’alto – risulta particolarmente problematica. L’intervento di OffTopic ci aiuta a comprendere e situare il fenomeno del co-housing, partendo da un’analisi storica e politica dell’edilizia residenziale pubblica (ERP aka case popolari). Il co-hounsing è uno strumento, una ‘comunità contrattuale’ – spiega Abo – e come tale è estremamente variegato in base a fini, mezzi e soggetti che lo strutturano. Certamente, come ricorda Abo, tutta questa retorica attorno alle pratiche di abitare sociale in bocca alle istituzioni, crolla di fronte alla vergogna del patrimonio pubblico abbandonato, che a Bologna come in tutte le grandi città italiane, giace intonso.

Questa improvvisa corsa a forme di abitare innovative e cool (e rigorosamente in inglese!) puzza di ennesima intrusione del Mercato, di mercificazione dello spazio e svendita di quel che resta della spesa pubblica per l’abitare.

Ascolta l’intervento:

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